Storie - Le Chiese di Roma

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Molte vicende legate alla storia delle chiese di Roma hanno generato racconti che vivono ormai nelle leggende: non mancano infatti personaggi e misteri che ancora oggi suscitano la curiosità di chi ne ha sentito casualmente parlare, perché sembrano raccontare fatti che svelano nella sua completezza l’anima più profonda della città eterna.
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Il Bambinello nel fienile-Santa Maria ai Monti
Nel luogo in cui sorse la chiesa vi era un antico monastero del XIII secolo che ospitava una comunità di Clarisse. All’inizio del XV secolo in una sala del monastero era posta un affresco con l’immagine della Madonna con il Bambino e alcuni Santi. Quando la comunità delle Clarisse lasciò il complesso, le sale del monastero furono adibite sia ad abitazioni che ad altri scopi e addirittura una, come la sala dell’affresco, fu utilizzata come fienile. Ma proprio lì, davanti a questa immagine, un giorno di aprile del 1579 l'edificio fu interessato da numerose scosse, simili ad un terremoto, e tutti gli abitanti pensarono fosse infestato dagli spiriti. Si udì anche una voce che pregava di non far male al bambino: a parlare era stata l’affresco rappresentante la Vergine con il Bambino, rinvenuto in una cavità di un muro. La notizia, naturalmente, si sparse per tutta Roma, richiamando un gran numero di persone ed iniziarono a verificarsi guarigioni miracolose. Il ripetersi dei miracoli e la gran folla che ogni giorno si accalcava dinanzi alla casa convinsero papa Gregorio XIII a far rimuovere l’affresco e a dare incarico a Giacomo della Porta, che aveva già portato a compimento la costruzione della chiesa del Gesù, di costruire la chiesa di Santa Maria ai Monti dove custodire l’immagine miracolosa della Vergine col Bambino.
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Il Crocifisso di S. Camillo-Santa Maria Maddalena in Campo Marzio
Sull’altare dell’omonima cappella è conservato il Crocifisso realizzato da autore ignoto su un pezzo di legno intero in pino, che Camillo trovò nell’ospedale San Giacomo e che custodì gelosamente, portandolo con sé quando lasciò quell’ospedale. Si racconta che il Crocifisso abbia parlato al santo in uno dei momenti di grande sofferenza, quando Camillo fosse in ginocchio davanti al crocefisso piangendo e pregando, implorando luce per decidere della sua vita. In quel momento sentì che il Crocefisso allargò le braccia dalla croce e lo abbracciò confortandolo con la frase “Vai avanti, pusillanime! L’opera è mia non tua, non aver paura, coraggio”. Questo coraggio accompagnò poi Camillo per tutta la sua vita.
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S. Domenico a Santa Sabina
Al ricordo di S. Domenico sono legate due curiosità relative a questa chiesa. Nel chiostro si trova una pianta di arancio dolce, secondo la tradizione domenicana piantata nel 1220 da S. Domenico, che in questa chiesa visse ed operò e nella quale ancora oggi si conserva la cella, trasformata in cappella. Si racconta che il santo avesse portato con sé un seme dell’arancio dalla Spagna, sua terra d’origine, e che questa specie di frutto sia stato il primo ad essere trapiantato in Italia. L’arancio, visibile dalla chiesa attraverso un buco nel muro, protetto da un vetro, di fronte al portale ligneo, è considerato miracoloso perché, a distanza di secoli, ha continuato a dare frutti attraverso altri alberi rinati sull'originale, una volta seccato. La tradizione vuole che le cinque arance candite, donate da S. Caterina da Siena a papa Urbano VI nel 1379, siano state colte dalla santa proprio da questa pianta.
Sempre a S. Domenico è legata anche la storia della pietra nera di forma rotonda su una colonna a sinistra della porta di ingresso: è chiamata Lapis Diaboli, ossia "pietra del diavolo" perché, secondo la leggenda, sarebbe stata scagliata dal diavolo contro S. Domenico mentre pregava sulla lastra marmorea che copriva le ossa di alcuni martiri, mandandola in pezzi. In realtà la lapide fu spezzata dall’architetto Domenico Fontana durante il restauro del 1527 per spostare la sepoltura dei martiri. Egli poi gettò via i frammenti, successivamente ritrovati e ricomposti, oggi visibili al centro della schola cantorum.
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La predica alle cortigiane-San'Agostino in Campo Marzio
Nella chiesa di Sant'Agostino in Campo Marzio, oltre a quella di Santa Monica, vi sono altre sepolture illustri, ma è curioso che insieme alle spoglie di santi e cardinali vi giacciano anche le salme di famose cortigiane di alto bordo, come Fiammetta, amante preferita di Cesare Borgia. Occorre considerare d’altronde che Sant’Agostino era la chiesa dove si tenevano le prediche alle cortigiane: per favorirne il ritorno alla vita onesta, cui si dava carattere e importanza di conversione, esse erano obbligate ad assistere, specialmente nel periodo quaresimale, ad apposite prediche. Le cortigiane venivano sistemate nelle prime file, non tanto per tenerle vicine al Signore, quanto perché il resto dei fedeli, nel rivolgere continuamente lo sguardo verso di loro, non si distraesse nel corso delle funzioni religiose. Contrariamente a quelli riservati agli ebrei, questi sermoni furono a un certo punto soppressi proprio per la grande calca che si creava all'interno e all'esterno della chiesa.
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Il Bambinello di Santa Maria in Aracoeli
La chiesa di Santa Maria in Aracoeli sulla cima del Campidoglio custodisce una delle icone più venerate dai cittadini romani. Benedice la città di Roma nel giorno dell'Epifania e riceve ex voto da fedeli di tutto il mondo che si affidano ai poteri miracolosi che la tradizione gli attribuisce. Si tratta della statua lignea del Santo Bambino che la tradizione vuole abbia poteri miracolosi, in grado di concedere grazie e guarire dalle malattie. Una leggenda narra persino che le sue labbra cambiassero colore diventando rosse quando stava per essere concessa una grazia e pallide quando, invece, non c'era più speranza. Le origini di questa icona amatissima dai Romani ma conosciuta in tutto il mondo sono avvolte nel mistero: si narra che il Santo Bambino originale fosse stato intagliato da un frate francescano nel legno di un ulivo del Getsemani sul finire del XV secolo. Per paura di non riuscire a dipingerlo come avrebbe voluto, una sera, prima di coricarsi, pregò il Bambino affinchè gli desse l'ispirazione. Il mattino seguente trovò la statua miracolosamente dipinta. L’intera scultura nei secoli è stata ricoperta di ex voto e ha ricevuto una moltitudine di lettere dai bambini di tutto il mondo. Purtroppo, nel 1994, la statua venne trafugata ed oggi non ne resta che una copia che non ha comunque perso l'enorme impatto mistico ed emotivo sui suoi fedeli e che in pochi anni è stata già nuovamente coperta di ex voto.
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La Madonna sotto una scala-Santa Maria della Scala
Le origini di Santa Maria della Scala risalgono ad un evento accaduto nel 1592 quando una donna di nome Cornelia iniziò qui a pregare di fronte a un'immagine della Madonna che si trovava sotto a una scala di una casetta vicina, chiedendo una grazia per la sua bambina. La tradizione afferma che, a seguito delle preghiere della donna, questa icona avrebbe miracolosamente guarito la bambina che, nata muta, avrebbe iniziato a parlare. L'evento fu visto come un miracolo e questa zona divenne oggetto di pellegrinaggi da tutta Roma, tanto che Papa Clemente VIII decise di costruirvi una chiesa, detta appunto della Scala.
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La campana del Tasso-Sant'Onofrio al Gianicolo
Si racconta che la campana più piccola del campanile della chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo, abbia a lungo suonato nel 1595, accompagnando Torquato Tasso nei suoi ultimi momenti di vita. A questa campana è legato anche un aneddoto: nel 1849 i garibaldini requisirono alcune campane per forgiare i cannoni ma quando si presentarono nella chiesa di S. Onofrio incontrarono la ferrea resistenza del superiore del convento, che supplicò loro di non distruggere la piccola campana tanto legata alla memoria del poeta. Garibaldi, commosso, ordinò: "Le campane che suonarono l'agonia del Tasso sono sacre: siano rispettate!".
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La pietra galleggiante-Santa Maria in Via
La chiesa di Santa Maria in Via deve la sua fama a un evento miracoloso. Infatti, nel sito ove oggi sorge l'edificio sacro in passato vi erano le stalle del palazzo del cardinale Pietro Capocci. Si racconta che, nella notte tra il 26 e il 27 settembre 1256, un servo del prelato, per sbaglio o forse volontariamente, fece cadere nel pozzo situato nelle stalle un'immagine della Madonna, dipinta su una lastra di ardesia. Prima ancora che la lastra avesse toccato il fondo del pozzo, le acque, rigurgitando improvvisamente e in maniera abbondante, l'avevano riportata in superficie. Il Capocci, avvisato dell'avvenimento, accorse immediatamente in quel luogo e raccolto il dipinto, la fuoriuscita dell'acqua terminò all’istante. Il cardinale, dopo aver informato dell'evento papa Alessandro IV, decise di far erigere una cappella intorno al pozzo miracoloso, da consacrare a Maria Vergine. Successivamente fu eretta la chiesa, ma sull'altare della cappella c'è ancora la pietra recante l'immagine della Vergine.
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La campana della "sperduta"-Santa Maria Maggiore
Il campanile della basilica di Santa Maria Maggiore, alto 75 metri, è il più alto di Roma. La campana maggiore è detta “La Sperduta” e suona dopo le 21.00 per ricordare la storia della pellegrina che giunta a Roma a piedi nel XVI secolo fu sorpresa dal calare della notte alla periferia della città, nella zona dell’attuale via dei Cessati Spiriti, all’epoca aperta campagna. Spaventata e preoccupata di non riuscire a riprendere il suo cammino, erano ormai le due di notte, si rivolse in preghiera alla Vergine Maria e improvvisamente sentì la campana della basilica suonare e, seguendone i rintocchi, si ritrovò nella piazza di Santa Maria Maggiore e fu salva. La pellegrina in segno di gratitudine lasciò una rendita alla basilica affinché la campana suonasse ogni notte alle ore 2.00; poi l’orario fu convertito alle ore 21.00.
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Una grande rivalità-Sant'Agnese in Agone
Una leggenda popolare tesa a sottolineare la rivalità tra Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini vorrebbe che la figura del Nilo nella fontana dei Quattro Fiumi, stia con il capo velato per non guardare la chiesa di Sant'Agnese ritenuta una bruttura dal Bernini e la statua del Rio de la Plata con il braccio alzato e la mano rivolta verso l'edificio sacro a esprimere il timore che questo crollasse. In realtà si tratta solo di una leggenda, in quanto la fontana venne inaugurata nel giugno 1651, mentre la prima pietra della chiesa fu posta nell'agosto 1652 e l'incarico al Borromini fu affidato solo nell'estate del 1653.
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La Madonna consolatrice-Santa Maria della Consolazione
Il monte Tarpeo, nella storia di Roma, è stato uno dei luoghi riservati alle esecuzioni capitali. Nel 1385, il nobile Giordanello degli Alberini, in attesa di venire giustiziato, dispose nel suo testamento il lascito di due fiorini d'oro affinché fosse qui dipinta un'immagine di Maria Vergine, in modo che i condannati, prima di venire giustiziati, vedendo quell'immagine, avessero avuto la possibilità di pregare e attingere coraggio per quegli ultimi istanti di vita. La piccola icona fu realizzata sul muro esterno di un granaio che si trovava proprio sotto la Rupe Tarpea, e qui vi rimase per quasi un secolo. Il 26 giugno 1470 un fatto strepitoso richiamò l'attenzione di molti romani a quell'immagine. Era stato accusato di omicidio, assieme ad altri, un giovane. I suoi compagni l'avevano proclamato innocente, lui sottoposto alla tortura, s'era confessato colpevole, pur essendo effettivamente innocente, e condannato alla forca. Per arrivare al luogo dell'impiccagione, mentre la carretta che trasportava i condannati passava accanto alla sacra immagine, il giovane condannato alzò occhi imploranti all'immagine della Madonna e La invocò che si facesse luce sulla sua innocenza; continuò poi quelle preghiere che aveva iniziato davanti all'edicola sino al luogo del supplizio. Quando la corda strinse il collo si constatò che non stava soffocando nonostante penzolasse e quindi venne immediatamente liberato. Il giovane raccontò che la Madonna gli aveva parlato, dicendo "Vai, perché sei consolato!", e una mano invisibile lo aveva sostenuto. Subito si sparse per la città la notizia dello straordinario prodigio del giovane non strangolato dal capestro. Il popolo, preso dall'entusiasmo, accorse a vedere l'immagine mariana e alla curiosità subentrò la devozione. Da allora s'intensificò la venerazione a quell'immagine che s'incominciò a chiamare la “Madonna della Consolazione”.

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Il diavolo e S. Gregorio Magno-Sant'Agata dei Goti
Narrano le cronache del tempo che quando la chiesa di Sant’Agata, in cui si praticava l’eresia ariana da parte della comunità gotica di Roma, venne riconsacrata nel 593 con il titolo attuale da S. Gregorio Magno al cattolicesimo accadde un evento stupefacente.
Sembra, infatti, che non fu facile scacciare dalla chiesa il diavolo che vi si era insediato. Quando S. Gregorio benedì la chiesa, si vide correre per la navata una scrofa urlante, evidentemente il demonio in forma porcina, che riempì l'edificio di fumi di zolfo. Per tre notti gli abitanti delle case vicine udirono provenire dalla chiesa rumori spaventosi. Al terzo giorno, finalmente, una nube che spandeva profumi venne a posarsi sull’altare e la chiesa fu liberata dalla presenza demoniaca.
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La Medaglia del Miracolo -Sant'Andrea delle Fratte
Il 20 gennaio 1842, la Vergine Maria apparve all’ebreo Alfonso Ratisbonne, in visita a Roma. Costui, fortemente ostile alla religione cattolica, indossava per scherno una Medaglia  che gli era stata donata con fede da alcuni amici. Entrato nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte, vide una Donna nella cappella allora dedicata all’Arcangelo Michele che gli fece segno con il dito di inginocchiarsi. Il frutto di questo gesto fu l’immediata conversione dell’uomo che appena ripresosi dallo stupore chiese di potersi confessare e battezzare e divenne in seguito sacerdote. L’apparizione e la conversione furono oggetto di verifica dell’autenticità nell’ambito di un processo Canonico e il successivo riconoscimento ufficiale del miracolo contribuì ad accrescere ulteriormente la devozione verso la Medaglia Miracolosa. Per questa ragione, la basilica di Sant’Andrea delle Fratte è anche considerata la Lourdes romana poiché l'apparizione della Madonna rientrerebbe nella fenomenologia legata alla proclamazione nel 1854 del dogma dell’Immacolata Concezione.
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Il Crocifisso miracoloso -San Marcello al Corso
Il Crocifisso, esposto nell’omonima cappella a San Marcello al Corso, è da sempre oggetto di profonda venerazione da parte dei fedeli di Roma sin dal 1519, quando un incendio distrusse la chiesa: alloechè i fedeli andarono a verificare i danni del rogo, trovarono tra la cenere ancora fumante il Crocifisso rimasto miracolosamente illeso. Un altro episodio prodigioso risale al 1522: una grave pestilenza aveva colpito la Città Eterna. I romani, ricordandosi del miracolo del 1519, decisero di portare in processione il Crocifisso dalla chiesa di San Marcello alla basilica di San Pietro. Dalla chiesa si mosse una solenne processione penitenziale alla quale partecipò l’intera popolazione romana; la processione iniziò il 4 agosto e terminò il 20 e lo stesso giorno, la peste scomparve da Roma. A partire dal Giubileo del 1600, la miracolosa immagine, in occasione degli Anni Santi, viene portata processionalmente alla Basilica Vaticana ed ivi esposta alla venerazione dei fedeli.
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Le catene di S. Pietro -San Pietro in Vincoli
Nel IV secolo, dove oggi si trova la basilica di San Pietro in Vincoli, sorgeva un titulus dedicato agli apostoli, andato distrutto per ragioni non chiare. Licinia Eudossia, figlia dell’imperatore Teodosio II e moglie di Valentiniano III, la fece ricostruire come basilica tra il 422 e il 470. La tradizione vuole che la giovane imperatrice abbia voluto donare a S. Leone Magno le catene che avevano tenuto legato S. Pietro durante la sua prigionia a Gerusalemme, dove erano state rinvenute dalla madre Elia Eudossia. Avendo avuto il pontefice dei dubbi sull'autenticità delle catene, queste, avvicinate da S. Leone Magno a quelle relative alla prigionia romana dell'apostolo nel carcere Mamertino, si sarebbero miracolosamente fuse in una sola, qui tuttora conservata. A ricordo dell'evento con l’’affermarsi del culto delle catene (vincula) ivi custodite, la basilica cambiò la sua denominazione.
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La scala di S. Alessio-Santi Bonifacio e Alessio
La leggenda racconta che Alessio, figlio di Eufemiano, ricco patrizio romano residente dell’Aventino, sentendosi chiamato a una vita di contemplazione e di carità, si allontanò proprio alla vigilia delle nozze combinate con una nobile giovane, e si recò ad Edessa, in Siria. Dopo 17 anni, provando disagio per la popolarità acquistata con la sua vita santa, si fece di nuovo pellegrino e tornò presso la casa paterna di Roma, dove visse per altri 17 anni, non riconosciuto dai suoi, trovando alloggio. in cambio di umili lavori, in un sottoscala vicino ad un pozzo che utilizzò per lavarsi e dissetarsi.. Alla sua morte, richiamata da un miracoloso suono di campane, accorse moltissima gente tra cui anche il pontefice che trovò tra le mani di Alessio una lettera nella quale, nel finire dei suoi giorni, aveva scritto la verità sulla sua identità, la rinuncia al matrimonio e la partenza a Edessa, provocando il dolore dei genitori che non avevano saputo riconoscere in quel mendicante il loro figlio.
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Il carro delle Monache-Santa Maria in Campo Marzio
La tradizione narra che le suore basiliane provenienti da Costantinopoli, giunte a Roma con tre preziose reliquie, una “Madonna Advocata” (dipinta, secondo la leggenda, da S. Luca), la testa di S. Quirico ed il corpo di S. Gregorio Nazianzeno, avevano deciso di farsi ricevere da papa Zaccaria per chiedere ricovero, ma il carro che trasportava tutti i loro oggetti ed arredi sacri si impantanò in una palude in Campo Marzio e nessuno riuscì più a smuoverlo. In seguito a questo avvenimento, interpretato unanimemente come un segno divino, il pontefice affidò loro una piccola chiesetta dedicata all’Immacolata Concezione che sorgeva poco distante dalla palude. Le suore restaurarono la piccola chiesa, ed accanto fondarono un monastero ed un oratorio, dove venne collocata l’icona della “Madonna Advocata”.
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In tredici a tavola-Santa Barbara al Celio
Nella cappella di Santa Barbara al Celio, si conserva il “Triclinio”, la tavola di marmo sulla quale S. Gregorio Magno e sua madre S. Silvia servivano personalmente il pranzo a dodici poveri. Un giorno, però, apparve un tredicesimo commensale: si trattava di un angelo, al quale Gregorio servì ugualmente il pranzo. In memoria di questo fatto, ogni Giovedì Santo, il papa serviva su questa tavola il pranzo a tredici poveri, ma l’uso cessò dopo il 1870. Dal fatto miracoloso discende, si dice, la superstizione dell’evitare di essere tredici a tavola: in origine, lo si fece per rispetto religioso all’angelo, non volendo ripetere ciò che era accaduto per origine divina, ma, in seguito, la cosa prese significato di malocchio e sfortuna.
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Sergio Natalizia-Le chiese di Roma
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