San Luigi dei Francesi - Le Chiese di Roma

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Il Rinascimento
San Luigi dei Francesi
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Racchiusa tra il Pantheon e Piazza Navona la chiesa di San Luigi dei Francesi,  luogo di culto della nazione francese, costituisce un vero e proprio gioiello dell’arte e custodisce capolavori di artisti come Caravaggio e Domenichino.
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Specifiche
Rettoria-chiesa nazionale estera (Francia)-luogo sussidiario di culto della parrocchia di S. Agostino in Campo Marzio
Proprietà
Ente straniero in Italia
Affidamento
Clero di altra diocesi
Accesso
Da LUN a VEN 09:30–12:45 e 14-30–18;30; SAB 09:30–12:15 e 14:30–18-45; DOM 11:30–12:45 e 14:30–18:45
Bibliografia
M. Armellini-Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX-1891;
C. Rendina - Le Chiese di Roma-Newton Compton-2004;
Roma Sacra-Itinerario 7-S. Luigi dei Francesi-1995;
Sauntlouis-rome.net;
F. Gizzi- Le Chiese rinascimentali di Roma-Newton-1994;
S. Luigi dei Francesi-Schnell & Streiner-2012
Indirizzo
Piazza di S. Luigi dei Francesi, 5 – Rione Sant’Eustachio
Realizzazione
Iniziata nel 1518 e ultimata nel 1589
Stile architettonico
Rinascimentale e barocco
Architetto
Giacomo Della Porta (1540-1602) - Domenico Fontana (1543-1607)
da non perdere
Cappella Contarelli con dipinti del Caravaggio; Cappella di S. Cecilia con dipinti del Domenichino; Cappella Contarelli con dipinti del Caravaggio; Cappella di S. Cecilia con dipinti del Domenichino
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Storia
La storia di questa chiesa è indissolubilmente legata a quella della comunità francese residente nella Capitale. Inizialmente la colonia francese a Roma possedeva una piccola cappella nei pressi di Sant’Andrea della Valle, che venne poi permutata con altri possedimenti per la necessità di costruire una chiesa nazionale più ampia. Alla fine del Quattrocento fu quindi avviato Il progetto di avere una chiesa intitolata a S. Luigi su iniziativa di una confraternita francese dedicata alla Vergine Maria, a S. Dionigi e a S. Luigi IX. I lavori iniziati nel 1518, per volontà del cardinale Giulio de' Medici (futuro papa Clemente VII) sotto la direzione di Jean Chenevières, procedettero con grande lentezza per motivi economici e furono anche sospesi anche a causa della crisi generale determinatasi dopo il Sacco di Roma del 1527, ad opera dei lanzichenecchi di Carlo V. Nel 1576 fu ripresa la costruzione della chiesa ed edificata la facciata a cura di Domenico Fontana, secondo un progetto di Giacomo Della Porta, ma la chiesa venne completata e quindi consacrata solo nel 1589. L'interno fu poi restaurato, tra il 1749 e il 1756, su progetto di Antoine Dérizet.
Esterno
La facciata, in travertino, divisa in due ordini di uguale grandezza è sormontata da un timpano triangolare con Stemma del re di Francia. L'ordine inferiore è aperto da un grande portale, inquadrato da due colonne e sormontato da un timpano triangolare spezzato, ed è affiancato da altri due ingressi minori e altrettante nicchie, nelle quali sono collocate due statue realizzate nel 1746 da Pierre de l'Estache, raffiguranti Carlo Magno e S. Luigi IX. L'ordine superiore presenta una grande finestra con balaustra al centro e due finestre laterali, oltre ad altrettante nicchie, nelle quali sono ubicate le statue anch’esse realizzate da Pierre de l'Estache, raffiguranti S. Clotilde e S. Giovanna di Valois.
Interno
L'interno è a tre navate, scandite da massicce arcate separate da pilastri, definite lateralmente da cinque cappelle per lato, concluse da un presbiterio e coperte da una volta a botte. Sulla cantoria sopra la porta di ingresso, si trova un organo, costruito da Joseph Merklin nel 1881.
Lungo la navata destra si aprono cinque cappelle: la prima, dedicata a S. Dionigi di Parigi, presenta all'altare una pala di Renaud Levieux con S. Dionigi che guarisce un cieco (seconda metà del XVII secolo). Segue la cappella, dedicata a S. Cecilia, che conserva gli affreschi con le storie della vita della santa, opera di Domenichino, e la pala d’altare con la S. Cecilia di Guido Reni. La cappella successiva, dedicata a S. Giovanna di Valois, presenta all'altare, S. Giovanna di Valois portata in cielo dagli angeli (XVIII secolo) di Etienne Parrocel. La cappella successiva, dedicata a S. Remigio di Reims, è decorata con un ciclo di dipinti murali con Storie della vita di re Clodoveo, affreschi di Iacopino del Conte, Perin del Vaga, Girolamo Siciolante detto il Sermoneta e Pellegrino Tibaldi.
Infine, nella quinta cappella, dedicata al Crocifisso, è ubicato il Monumento funebre di Henri de La Grange (inizi del XVIII secolo).
Il  presbiterio è coperto da una cupola a cassettoni con rosette e stelle, che presenta al centro un affresco raffigurante la Morte e apoteosi di san Luigi IX (XVIII secolo, di Charles-Joseph Natoire; sull’altare maggiore, è posto  il dipinto di Francesco Bassano il Giovane, Assunzione di Maria (ultimo quarto del XVI secolo),.
Anche lungo la navata sinistra si aprono cinque cappelle: la prima che si incontra è quella dedicata a S. Matteo, detta anche Cappella Contarelli, dal nome italianizzato del cardinale francese Mathieu Cointrel. Qui è collocato il ciclo di dipinti del Caravaggio con le Storie della vita di S. Matteo, eseguiti tra il 1599 e il 1602, raffiguranti all'altare S. Matteo evangelista e l'angelo; sulla parete sinistra, la Vocazione di S. Matteo; sulla parete destra, Martirio di S. Matteo. Gli affreschi della volta, sono opera del Cavalier d’Arpino.
Nella cappella successiva, dedicata a Maria Vergine, si conservano all'altare, la pala con Natività di Gesù (XVII secolo), opera di Charles Mellin; alla parete destra, Annunciazione, e alla parete sinistra, Adorazione dei Magi, ambedue opere di Giovanni Baglione (prima metà del XVII secolo).
Nella cappella che segue, dedicata a S. Luigi IX e progettata tra il 1664 e il 1680 da Plautilla Bricci, sono collocati all'altare, pala con San Luigi IX di Plautilla Bricci; alla parete destra, S. Luigi IX restituisce all'arcivescovo di Parigi la corona di spine, di Ludovico Gimignani, mentre alla parete sinistra, Enrico II di Francia e Caterina de' Medici presentano il progetto della chiesa a S. Luigi IX (ultimo quarto del XVII secolo), di Nicolas Pinson.
Quindi si ha una cappella, dedicata a S. Nicola di Bari, che presenta all'altare, una pala con Miracolo di S. Nicola di Bari, olio su tela di Girolamo Muziano (fine XVI secolo) e ai lati dipinti del XVII secolo con S. Barbara e S. Caterina d'Alessandria di Girolamo Massei e Nascita e morte di san Nicola di Bari di Baldassare Croce. Infine, nell’ultima cappella, dedicata a S. Sebastiano, è presente una pala d’altare con S. Sebastiano di Girolamo Massei (inizio del XVII secolo).
La chiesa ospita inoltre alcune tombe, tra cui quelle di Pauline de Beaumont, fatta costruire da François-René de Chateaubriand, del cardinale François Joachin de Bernis, ambasciatore dei re Luigi XV e Luigi XVI, e di Frédéric Bastiat, economista e scrittore del XIX secolo.
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GALLERY

Caravaggio e le Storie della vita di S. Matteo
Le tre grandi tele che Caravaggio realizzò per la Cappella Contarelli sono la prima importante commissione da lui realizzata a Roma. La cappella era stata acquistata nel 1565 dal cardinale francese Mathieu Cointrel, il cui nome fu poi italianizzato in Matteo Contarelli: il suo intento era di decorarla con storie dedicate a S. Matteo, di cui portava il nome. Nel 1585, alla morte del cardinale, il progetto non era neanche stato iniziato, e negli anni successivi gli eredi si erano adoperati nel trovare qualcuno in grado di realizzare quanto desiderato. Vari furono gli artisti contattati ed incaricati ma nessuno arrivò a concludere quanto richiesto; solo nel 1599 ai proprietari della cappella fu fatto il nome del Caravaggio dal cardinal Del Monte, suo primo committente e protettore romano, e il 23 Luglio di quell’anno fu firmato il contratto. Fu così che Caravaggio, nel giro di due anni, tra il 1599 ed il 1600, consegnò le due tele raffiguranti la “Vocazione di S. Matteo” ed il “Martirio di S. Matteo”. Inizialmente tra queste due fu collocato un gruppo scultoreo dello scultore Jacob Cobaert, ma dopo pochi mesi fu deciso di rimuoverlo perché non piaceva ai committenti che così si rivolsero di nuovo al Caravaggio perché realizzasse un’ulteriore tela che completasse il ciclo. L’artista inizialmente realizzò un dipinto che però fu rimosso immediatamente dopo la sua collocazione, perché non piacque ai committenti, così Caravaggio dovette realizzare una seconda versione, quella che, dal 1602, si trova nella cappella.
Vocazione di S. Matteo
La Vocazione di S. Matteo ricorda il momento in cui Gesù convinse Matteo, che faceva l’esattore delle tasse per conto dei Romani, a lasciare tutto e seguirlo per diventare suo apostolo. Caravaggio immagina l’episodio all’interno di una taverna, dove cinque uomini vestiti secondo la moda dell’epoca sono seduti attorno a un tavolo e contano del denaro. A destra, due personaggi identificabili con Gesù e Pietro, indicano l’uomo seduto al centro, chiaramente Matteo, che stupito porta una mano al petto come a voler rispondere: “Dici a me?”. Caravaggio coglie l'attimo cruciale, l’esitazione del dubbio per cui Matteo deve decidere il suo futuro. Nel frattempo, un fascio di luce attraversa il buio della stanza e va a colpire esattamente il volto stupefatto di Matteo il quale, a sua volta, ripete il gesto con l’indice come a dire: “proprio io? ho capito bene?”, come a sottolineare il contraccolpo per la sorpresa e l’incredulità per quanto accade. La luce è il vero motore dell'azione, senza dubbio una luce divina, simbolo della Grazia che redime gli uomini. In quest’opera Caravaggio attualizzava l’evento evangelico, spingendo il fedele a riflettere sul fatto che Dio, in qualunque momento o luogo, poteva chiamare a sé un uomo, anche se peccatore.
Martirio di S. Matteo
La scena del Martirio di S. Matteo è più complessa e mostra quel carattere brutale che la rende prossima alla rappresentazione di un assassinio. L’esecuzione del santo è ambientata all’interno di una struttura che ricorda quella di una chiesa, come attesta la presenza di un altare con croce. Caravaggio, infatti, decise di attenersi alla tradizione secondo la quale S. Matteo sarebbe stato assassinato dopo la celebrazione eucaristica.
Al centro della scena il vecchio santo, sorpreso mentre battezzava alcuni fedeli, è già stato colpito e ferito dal suo carnefice. Matteo, a terra, alza una mano per difendersi mentre un angelo gli porge la palma del martirio. Lo sguardo della vittima e quello del suo assassino che gli sta sferrando il colpo mortale, si incontrano in un attimo di muto colloquio. Tutto intorno, i testimoni si ritraggono spaventati per il terrore del momento, un ragazzino fugge in preda al panico con la bocca spalancata. Si riconosce nel gruppo anche Caravaggio, ritrattosi sul fondo a sinistra; lo sguardo sconfortato dell’artista è la più efficace testimonianza del suo pessimismo esistenziale.
L’intera scena è circondata dal buio; l’uso del fondo scuro consente al pittore di dare un ruolo fondamentale alla luce che costruisce ed illumina le scene. Infatti, come già nella Vocazione, un fascio di luce colpisce uno dei protagonisti, in questo caso il carnefice, che per certi versi è presentato dall’artista come il vero protagonista dell’opera: è infatti soprattutto sui peccatori che si posa lo sguardo misericordioso di Dio.
Gesù e Pietro sono gli unici personaggi del dipinto ad essere vestiti all’antica; tutti e gli altri cinque personaggi vestono in abiti contemporanei all’autore. Caravaggio voleva evidenziare come quello raffigurato non fosse un fatto del passato ma anche contemporaneo a tutti coloro che lo avrebbero guardato affinché potessero immedesimarsi in uno qualsiasi degli altri personaggi del dipinto. In sostanza, la chiamata di S. Matteo non è una cosa fuori dal tempo ma può accadere nella normale realtà quotidiana, proprio come accadde a Matteo, mentre faceva il suo lavoro di esattore delle tasse.
S. Matteo e l'Angelo
Nel 1602, stipulando un nuovo contratto, Caravaggio si impegnò a dipingere per la cappella un terzo quadro, destinato stavolta all’altare. Il soggetto concordato era quello di S. Matteo e l’angelo, in cui l’evangelista doveva mostrarsi intento a scrivere il proprio Vangelo. Esistevano, un tempo, due versioni di questo dipinto: la prima, quella più antica, un tempo conservata a Berlino, è andata distrutta durante la Seconda guerra mondiale. Secondo una tradizione storiografica i religiosi committenti, vista l’opera ultimata, la rifiutarono perché giudicata priva di decoro e poco consona ai dettami della chiesa della controriforma, in quanto Caravaggio aveva raffigurato il santo come un povero uomo mentre si fa guidare la mano dall’angelo nella stesura del Vangelo.
Caravaggio dipinse quindi una seconda versione, che invece fu accettata e che si trova ancora oggi al suo posto nella cappella. L’evangelista è rappresentato come un uomo dotto che, ispirato da un angelo alle sue spalle, scrive di suo pugno il Vangelo, mentre l’angelo, con un gesto delle mani, sembra elencargli i fatti che dovrà narrare nel testo. La posa del santo, mostrato inginocchiato sopra una piccola panca, appare instabile in quanto intento a girarsi perché nella stanza buia irrompe l’angelo che gli suggerisce come scrivere il Vangelo.
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Sergio Natalizia-Le chiese di Roma
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