Santo Stefano Rotondo - Le Chiese di Roma

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il Medioevo
Santo Stefano Rotondo
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Consacrata in onore del primo martire, Santo Stefano, risale al periodo paleocristiano e costituisce il più antico esempio di chiesa a pianta circolare ancora presente a Roma. La sua storia spazia tra la solennità paleocristiana e inquietanti affreschi della Controriforma.
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Specifiche
Basilica minore-Rettoria-luogo sussidiario di culto della parrocchia di Santa Maria in Domnica alla Navicella
Proprietà
Collegium Germanicum et Hungaricum
Affidamento
Compagnia di Gesù (SJ/SI)
Accesso
10:00-13:00; 14:30-17:30
Bibliografia
M. Armellini-Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX-1891;
C. Rendina - Le Chiese di Roma-Newton Compton-2004;
Roma Sacra- Itinerario 34–Elio De Rosa editore-2014;
S. Stefano Rotondo-Schnell e Steiner-2010;
F. Gizzi-Le chiese medievali di Roma-Newton-1998;
www.cgu.it/it/santo-stefano-rotondo
Indirizzo
Via di Santo Stefano Rotondo, 7 – Rione Monti
Realizzazione
Eretta nel V secolo e ristrutturata nel XV secolo
Stile architettonico
Paleocristiano e Manierista
Architetto
Ignoto
da non perdere
Affreschi del Pomarancio e del Tempesta
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Storia
La chiesa venne edificata su di una parte della caserma romana dei Castra peregrina, caserma degli ausiliari provinciali; la costruzione fu probabilmente voluta da papa Leone I (metà del V secolo). Ispirata alla chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme, in origine era formata da una grande struttura circolare costituita da due corridoi concentrici divisi da file di colonne, che circondavano lo spazio centrale coperto da un alto tamburo. Sui quattro assi della chiesa si aprivano quattro cappelle radiali che davano alla chiesa una pianta cruciforme inserita nella struttura circolare. Tutto questo insieme, che era adorno di marmi, stucchi e mosaici, nel tempo si deteriorò fortemente nonostante i ripetuti restauri intervenuti nel VII, VIII secolo; nel IX secolo iniziarono però le spoliazioni, alle quali si aggiunsero, nell'847, i danni causati da un terremoto e nel 1084 quelli provocati dalle truppe di Roberto il Guiscardo. Fra il 1139 e il 1143 papa Innocenzo II fece restaurare la chiesa, ma la navata anulare esterna, rimasta senza tetto, non venne più ricostruita. Dei quattro bracci della croce rimase soltanto quello in cui si trovava la cappella dei santi Primo e Feliciano. Il colonnato mediano fu chiuso e divenne il muro esterno; per sorreggere la copertura divenuta precaria, si eresse in alto, lungo un diametro, un muro trasversale che finì per dividere l'ambiente in due. Delle ventidue finestre originarie del tamburo ne furono murate quattordici, per dare maggior robustezza alla parete cilindrica. A causa di tali interventi radicali la chiesa risultò decisamente più piccola; ma pur così semplificata non resse il passare del tempo al punto che agli inizi del XV secolo la basilica risultava in stato di abbandono.
Nel 1452-1453 papa Niccolò V ne affidò il restauro a Bernardo Rossellino, che rifece le coperture e il pavimento, rialzandone la quota, collocò al centro dell'edificio un altare marmoreo, eliminò definitivamente l’ambulacro esterno e tamponò con un muro le colonne del secondo anello con un cilindro murario corrisponde all'attuale parete esterna dell'edificio.
Nel 1580 papa Gregorio XIII assegnò il complesso al Pontificio collegio germanico-ungarico, un convitto retto dai gesuiti e destinato ai sacerdoti di lingua tedesca. Nello stesso anno intorno all'altare venne costruito un recinto ottagonale a stucco, decorato da Antonio Tempesta con le Storie della vita di S. Stefano d'Ungheria. Poi, nel 1582 Nicola Circignani detto il Pomarancio ricevette l'incarico di decorare le pareti della chiesa che chiudevano l'ambulacro con un ciclo di 34 dipinti murali con Storie dei martiri.
Nel 1778, fu edificata da Pietro Camporese il Vecchio una nuova cappella, dedicata a S. Stefano d'Ungheria, per gli studenti e i fedeli provenienti dal Regno d'Ungheria. Ulteriori restauri sono intervenuti nel XIX secolo e recenti scavi archeologici hanno rivelato la presenza, sotto la chiesa, di un mitreo del II-III secolo. Gestita fino al 1580 dai paolini ungheresi, la chiesa da allora appartiene al Pontificio collegio germanico-ungarico in Roma ed è la chiesa nazionale di Ungheria.
Esterno
Oggi la chiesa risulta quindi differente rispetto al momento della sua creazione: presenta la facciata su un ampio giardino circondato da alte mura di età romana e vi si accede sotto una delle volte del prolungamento di Nerone dell'acquedotto Claudio.
Il prospetto frontale, edificato nel XII secolo, è costituito da un portico, a cinque arcate su colonne antiche con capitelli tuscanici, dove apre un portale architravato dal quale si accede all'ambulacro circolare. Il portale presenta un architrave orizzontale su cui trova un affresco di autore ignoto raffigurante La Pietà tra i santi Paolo I Eremita e Stefano.
Interno
Dal vestibolo si accede all’interno, formato da un ambulacro circolare (in origine il più interno) chiuso da un muro in cui sono inserite le 34 colonne antiche di marmo e granito dell'ambulacro esterno e da una parte centrale, separata da 22 colonne di granito con capitelli ionici. Su di esse grava un architrave continuo da cui s'innalza la muratura cilindrica del tiburio, aperto da finestre centinate alcune tamponate altre racchiudenti bifore marmoree, risalenti al restauro rinascimentale. Due pilastri e altrettante colonne con capitelli corinzi sono disposti diametralmente nel circolo interno a sostenere tre arcate e il muro di appoggio per le travi del tetto.
Il muro perimetrale è decorato con un suggestivo ciclo di 34 dipinti murali ad affresco, eseguiti nel 1582 da Nicolò Circignani detto il Pomarancio, con la collaborazione di Matteo da Siena per le prospettive, raffiguranti storie di martirio
o Martirologio: i dipinti contengono rappresentazioni terrificanti e realistiche di torture e sofferenze e ogni pannello ha un'epigrafe esplicativa in latino e italiano che nomina l’imperatore sotto cui sarebbe avvenuta l’esecuzione. Incentrate sulla tematica del “martirio” i dipinti ancora oggi colpiscono il visitatore per la loro violenza e il loro realismo: vera e propria “enciclopedia degli orrori”. Tali rappresentazioni avevano lo scopo didattico di insegnare ai novizi gesuiti che sarebbero andati missionari in paesi lontani per convertire le popolazioni al cristianesimo sui pericoli che avrebbero potuto incontrare. Lungo l'ambulacro, nel settore opposto all'ingresso, si conserva un Tabernacolo monumentale (inizi del XVII secolo)1613), in legno intagliato di Giovanni Gentner.
Al centro dell'aula liturgica è posto l'altare maggiore eseguito nel 1455 da Bernardo Rossellino, circondato da un recinto marmoreo ottagonale decorato con un ciclo di affreschi raffiguranti Storie della vita di S. Stefano, affreschi attribuiti al Pomarancio.
A sinistra dell'ingresso, contro un pilastro, è presente il seggio episcopale di S. Gregorio Magno: si tratta di un sedile in marmo del periodo imperiale, riscolpito per ricavare i braccioli e lo schienale. Segue la cappella dedicata ai santi Primo e Feliciano che presenta nel catino absidale il mosaico raffigurante una Croce gemmata tra i santi Primo e Feliciano e alle pareti Storie della vita dei santi Primo e Feliciano, affreschi attribuiti ad Antonio Tempesta e, nella parete destra, la Madonna dei Sette Dolori (terzo quarto del XVI secolo), sempre opera di Antonio Tempesta; i sette dolori di Maria sono simboleggiati da sette spade puntate contro il suo petto e accanto ad ogni spada c'è un campo rotondo con l'episodio della vita di Gesù che ha causato il dolore. L’altra cappella, dedicata a S. Stefano d'Ungheria, fu progettata nel 1778 da Pietro Camporese il Vecchio e conserva alla parete sinistra il Monumento funebre di Bernardino Capella, eseguito dal Lorenzetto con la collaborazione di Raffaello da Montelupo (primo quarto del XVI secolo).
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Sergio Natalizia-Le chiese di Roma
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