la visita alle sette chiese - Le Chiese di Roma

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La visita alle sette Chiese
le sette chiese
La visita alle Sette Chiese, il pellegrinaggio più famoso di Roma, è legata alla figura di S. Filippo Neri che la portò a un tale livello di successo che, da poche decine di partecipanti, arrivò in pochi anni a coinvolgere centinaia di persone.
La visita alle sette basiliche giubilari dell’Urbe non fu, tuttavia, invenzione di S. Filippo Neri. Il santo fiorentino non fece che riprendere l’antichissima tradizione medioevale dei pellegrini romei alla tombe di Pietro e Paolo. Fin dal IV secolo le tombe degli apostoli Pietro e Paolo erano meta di fedeli provenienti anche da paesi lontani e i pellegrini si recavano numerosi a visitare le sepolture dei martiri nelle catacombe del suburbio romano.
Dal IX secolo, con la traslazione delle reliquie dei martiri dalle catacombe alle chiese urbane, la pratica cultuale si trasferì in ambito cittadino e con il primo grande Giubileo istituito nel 1300 da Bonifacio VIIII, vennero indicate le tappe che il pellegrino doveva compiere per acquisire l’indulgenza, una volta giunto nella Città Santa degli apostoli e dei martiri.
Inizialmente la visita era limitata alle quattro basiliche patriarcali di San Pietro, San Paolo fuori le Mura, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore; in seguito, vennero aggiunte le tre basiliche minori di San Sebastiano, San Lorenzo al Verano e Santa Croce in Gerusalemme. Occorre arrivare però alla seconda metà del Cinquecento perché questo tipo di devozione assumesse una dimensione di massa, grazie all'opera di S. Filippo Neri che influì moltissimo nella crescita della dimensione spirituale di questo pellegrinaggio. "Pippo bono" (come lo chiamavano allora i romani) era solito recarsi a visitare e pregare nei luoghi sacri della città, e a poco a poco spinse i suoi amici ad accompagnarlo in queste sue visite, che nel tempo, con il crescere del numero dei partecipanti, divennero un vero pellegrinaggio di popolo. La partecipazione, infatti, era massiccia anche perché in molti erano desiderosi di acquisire le indulgenze concesse per tale pellegrinaggio: si arrivò anche a 6.000 persone in una Roma che superava di poco i 30.000 abitanti. Senza volerlo, senza quasi accorgersene, S. Filippo aveva coinvolto tutta Roma. Nacque così, dalla sua iniziativa individuale e dalla sua spontaneità, il pellegrinaggio più famoso di Roma.
Il pellegrinaggio divenne consuetudine specialmente nel giorno di Giovedì Grasso, e costituiva il cosiddetto "Carnevale spirituale" in alternativa al Carnevale classico che spesso degenerava in risse e violenze.
Il percorso, lungo sedici miglia, era diviso in due giornate, con la partenza, la sera del mercoledì grasso, originariamente dalla chiesa di San Girolamo della Carità, poi dalla Chiesa Nuova o di Santa Maria in Vallicella, quando la Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri si spostò qui. Attraversato ponte Sant’Angelo si faceva visita ai malati dell’ospedale di Santo Spirito e quindi il corteo si raccoglieva presso la basilica di San Pietro, prima tappa del percorso.  
La mattina seguente, di buon’ora, l’appuntamento era nella basilica di San Paolo, per la seconda visita, da dove si percorreva la via ancora oggi chiamata delle Sette Chiese e si giungeva a San Sebastiano per partecipare alla Messa. A questo punto si era soliti fare una sosta ricreativa che nei primi tempi aveva luogo in una proprietà della famiglia Crescenzi presso porta San Sebastiano, ma poi divenne consuetudine fermarsi alla villa Mattei, in quella che oggi è villa Celimontana al Celio. Qui i pellegrini potevano consumare una refezione offerta dai padri Filippini, che consisteva in una pagnotta, vino, un uovo, delle fette di salame, un pezzo di formaggio e due mele. Il pranzo era modesto, quasi penitenziale, ma con il passar degli anni acquistò una sempre maggiore importanza, tanto che, racconta il Belli, la sosta ricreativa, senza nulla togliere all'aspetto religioso e spirituale, costituiva una vera e propria festa, come viene ricordata tutt'ora in una epigrafe posta a villa Celimontana.
Il percorso poi proseguiva verso San Giovanni e da lì, dopo una sosta alla Scala Santa, si raggiungeva Santa Croce in Gerusalemme e quindi, attraverso porta Maggiore, si giungeva a San Lorenzo. Durante tutto il percorso le preghiere ed i canti erano intervallati da pause per la meditazione; poi al tramonto si compiva l'ultima visita a Santa Maria Maggiore, che si concludeva in tarda serata.
L’ampio consenso e il grande afflusso di pellegrini convinse Papa Sisto V  a fare del pellegrinaggio alle sette chiese un punto di forza del suo programma di riforma della liturgia e delle devozioni romane e,  con la bolla Egregia populi romani pietas del 13 febbraio 1586, il pontefice diede ufficialità e centralità all’antica tradizione della visita alle Sette Chiese facendola inserire nell’ambito delle pratiche penitenziali riconosciute dalla Chiesa.
Anche dopo la morte di San Filippo Neri, nel 1595, la visita alle Sette Chiese continuò, a cura della Congregazione dell’Oratorio, nella forma concepita dal santo per tutto il Seicento e Settecento; poi dall'inizio dell’Ottocento questa devozione fu progressivamente abbandonata, anche se non se ne estinse la memoria, tanto che "annà pe le sette chiese" è rimasto un modo di dire popolare.
Un nuovo risveglio vi fu poi in concomitanza con la canonizzazione di S. Filippo Neri nel 1922 e, ai nostri giorni, la pratica della Visita alle Sette Chiese è stata rivitalizzata proprio dall’Oratorio di S. Filippo Neri che la organizza in forma collettiva, due volte l’anno dal tramonto all’alba nei mesi di maggio e settembre sotto la guida di un Padre della Congregazione dell’Oratorio.
A partire dal Giubileo del Duemila la tappa della basilica di San Sebastiano può essere sostituita con quella al Santuario della Madonna del Divino Amore.
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Sergio Natalizia-Le chiese di Roma
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