Curiosità - Le Chiese di Roma

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Quando non mancano cose curiose
Duemila anni di storia hanno lasciato tante curiosità intorno alle chiese storiche romane che è impossibile conoscerle tutte; alcune sembrano oggi incredibili, ma comunque lasciano alla fine una considerazione certa: solo a Roma può davvero capitare di tutto.
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La Bocca della Verità-Santa Maria in Cosmedin
In fondo al portico di Santa Maria in Cosmedin, sulla sinistra, c’è il monumento più noto della chiesa: il mascherone detto Bocca della Verità. Si tratta di un antico mascherone romano, probabilmente un chiusino per il drenaggio delle acque, che forse raffigurava il volto del dio Oceano, o comunque una divinità fluviale, per la presenza, ormai poco leggibile, dei profili di due delfini. Al mascherone, sistemato nel portico nel 1632, è legata una famosa tradizione romana, una sorta di giudizio di Dio, che voleva che i bugiardi che avessero introdotto una mano nella sua bocca l’avrebbero avuta mozzata di netto. Ancora oggi lunghe file di turisti compiono il “rito” dell’inserimento della mano nella bocca, completato dall’inevitabile foto ricordo.
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San Carlino-San Carlo alle Quattro Fontane
La chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane è affettuosamente chiamata dai romani "San Carlino" per le sue ridotte dimensioni in quanto copre con la sua area quella di uno solo dei quattro pilastri che sorreggono la cupola della Basilica di San Pietro in Vaticano; così un detto popolare dice che “San Pietro è bello per la sua grandezza e San Carlino è bello per la sua piccolezza”.
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Pudenziana, la santa che non visse mai
Secondo la tradizione, la basilica di Santa Pudenziana fu fatta costruire dove sorgeva la casa di Pudente, senatore presso il quale avrebbe trovato ospitalità S. Pietro. Fu definita così come "ecclesia Pudentiana" ovvero la "chiesa di Pudente", ma col passar del tempo "Pudentiana" fu ritenuto il nome di una donna, alla quale venne attribuita una vita inventata, identificandola come sorella di Prassede, qualificate ambedue come figlie di Pudente che avrebbero donato la casa del loro padre per la costruzione della chiesa. Ma  di fatto, nel 1969, Pudenziana e Prassede sono state cancellate dal nuovo calendario liturgico della Chiesa Cattolica perché non riconosciute più come sante e addirittura considerate come mai esistite. In effetti dagli scavi archeologici è stato chiarito che la chiesa fu fondata sopra un edificio termale del II secolo, quello delle cosiddette Terme di Novato, e non dovrebbe risalire a prima del IV secolo.
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La chiesa delle "corate"-Santi Vincenzo e Anastasio a Trevi
Fino al 1876, la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio a Trevi era la “Parrocchia Pontificia”, data la sua prossimità con il palazzo del Quirinale, residenza dei pontefici. Quando un pontefice moriva, proprio in questa chiesa venivano trasportati solennemente, custoditi in contenitori sigillati, i cosiddetti precordi, gli organi interni asportati dalla salma prima della rituale imbalsamazione. La tradizione fu iniziata da Sisto V nel 1590 e durò per quasi tre secoli, fino a Leone XIII nel 1903. Ancora oggi, in una cappella sotterranea sotto l’altare maggiore, sono conservati i precordi di ben 22 pontefici: il popolino li chiamava oltraggiosamente le “sacre budella” e la chiesa divenne la “chiesa delle frattaje”. Una simile curiosità non poteva sfuggire a Giuseppe Gioacchino Belli, che definì la chiesa “un museo de corate e de ciorcelli”.
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Una sepoltura controversa-Santa Maria dell'Anima
Il papato di Adriano VI non fu per nulla amato dai romani: fu infatti un pontefice dallo stile austero e con uno scarso coinvolgimento nelle vicende della città. Quando nel 1523 morì, dopo soli tredici mesi di pontificato, venne inizialmente sepolto nella basilica di San Pietro, tra i pontefici Pio II e Pio III. Fu di conseguenza oggetto di una pasquinata passata alla storia: “Hic jacet impius inter Pios”, ovvero “Qui giace un non pio tra i Pii” che la dice lunga sull’avversione del popolo romano verso questo pontefice. Fu forse questo sardonico epitaffio a convincere il cardinale Wilhelm van Enkenvoirt, amico del pontefice a far spostare le sue spoglie nella chiesa di Santa Maria dell'Anima.
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La Buca dello Spione -San Salvatore alle Coppelle
Sul muro esterno della chiesa di San Salvatore alle Coppelle, è collocata una targa marmorea con una fessura. Vi fu collocata in occasione del giubileo del 1750 per il massiccio afflusso di pellegrini che fu stimato superiore al milione di presenze. Si tratta di una cassetta postale in marmo con tanto di targa con le istruzioni. Era stata costruita per osti, albergatori e locandieri che, tramite lettera, dovevano servirsene segnalando i forestieri malati che si fossero trovati nei loro locali, indicandone nome e provenienza. Secondo le autorità, queste segnalazioni sarebbero servite all’Arciconfraternita del SS. Sacramento della Divina Perseveranza per soccorrere ed accudire i forestieri malati. Erano previste pene severe a chi non avesse fatto tempestivamente la segnalazione. Tutti furono da subito convinti che in realtà fosse un’imposizione per far conoscere alla polizia i nomi degli ospiti e favorirne la sorveglianza. Per questo i romani chiamarono quella cassetta la Buca dello Spione.
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L'Angelo solitario - Sant'Andrea della Valle
La cosa che incuriosisce di più della facciata di Sant’Andrea della Valle è la sua asimmetria. In alto a destra, infatti, balza all’occhio una evidente lacuna: una statua mancante. Sul secondo ordine della facciata, a sinistra, invece spicca un angelo realizzato da Ercole Ferrata. Raccontano le cronache che inizialmente ne era previsto un altro anche per il lato destro, ma quando l’artista consegnò il primo angelo, dovette subire molte critiche, che non gradì. Tra queste anche quelle di papa Alessandro VII Chigi, a cui il Ferrata rispose: “Al papa l'angelo non piace? E allora l’altro se lo faccia da solo!”., e non realizzò mai il secondo angelo, lasciando per sempre la facciata incompleta.
E così ancora oggi, l’angelo solitario di Sant’Andrea della Valle guarda i passanti e i turisti che passano sotto di lui.
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Un curioso dipinto - San Saba
Nella basilica di San Saba, in quella che è stata chiamata “quarta navata” si trova anche un dipinto dal soggetto veramente curioso: si tratta della leggenda di S. Nicola di Bari e delle tre zitelle. Le protagoniste della storia sono tre ragazze appartenenti a una famiglia povera ma onestissima; erano molto belle ma, a causa della loro povertà, la loro virtù poteva essere in pericolo. Il loro padre aveva pregato S. Nicola di aiutarle. Così, una notte, il santo affacciato a una finestra e con una borsa in mano piena di monete d’oro, avrebbe gettato la borsa sul letto delle ragazze, dando loro finalmente una cospicua dote.
Questa leggenda fu all’origine dell’usanza di fare regali ai bambini nel giorno della festa di S. Nicola, il 6 dicembre; la consuetudine sarebbe poi slittata al 25 dicembre quando S. Nicola, ossia Santa Claus, sarebbe diventato una figura cara ai bambini di tutto il mondo, Babbo Natale.
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Una realistica scultura - San Marcello al Corso
Il Crocifisso ligneo del XIV secolo conservato in San Marcello al Corso è stato ritenuto dagli studiosi come il più realistico, per anatomia umana, esemplare di crocifissione di tutta Roma, a tal punto che ha dato origine ad una curiosa diceria: l’anonimo autore, per ritrarre col massimo realismo il trapasso di Gesù, avrebbe ucciso nel sonno un carbonaio e, mentre il poveraccio spirava, avrebbe abbozzato velocemente la figura del morente per poi intagliarla nel legno.
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L'erba di S. Bibiana-Santa Bibiana
Poco oltre la soglia della chiesa di Santa Bibiana, sulla sinistra, si trova il tronco della colonna a cui la santa fu legata durante il suo martirio.  La colonna è parzialmente consumata in quanto i devoti di S. Bibiana erano soliti raschiarlo per raccogliere la polvere che, disciolta nell'acqua del pozzo del vicino giardino e mescolata all'erba ("erba di S. Bibiana", una sorta d'erba medica di canapa) che cresceva sul terreno intrisa del suo sangue, produceva una bevanda che si riteneva avere un potere altamente taumaturgico.
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Una storia a fumetti-San Clemente al Laterano
Gli affreschi realizzati tra il 1084 e il 1100 nella basilica inferiore di San Clemente raccontano un miracolo del santo che aveva convertito al cristianesimo Teodora, moglie del prefetto Sisinnio, collaboratore dell’imperatore Nerva. Sisinnio sospetta e la segue nella catacomba dove celebra messa papa Clemente, la raggiunge ma non riesce a rivolgerle la sua ira perché Clemente lo acceca. Sisinnio si ammala e Clemente va a trovarlo per curarlo e il prefetto ordina ai servi di arrestarlo. Ed è in questo momento che avviene la scena rappresentata nell’affresco: i servi, accecati come il loro padrone ad opera del santo, legano e cercano di trascinare una pesante colonna di pietra. «Fili de le pute, trahite!, Gosmari, Albertel, trahite! Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!» (Figli di puttana, tirate! Gosmario, Albertello, tirate! Carvoncello, spingi da dietro con un palo!), grida Sisinnio ai servi chiamandoli per nome. Clemente replica: «Duritiam cordis vestri, saxa trahere meruistis» (A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi). Queste frasi compaiono nell’affresco accanto alle figure. Qualcuno lo definisce il primo fumetto della storia, ma sicuramente questo dialogo rappresenta un importante passaggio dal latino all’italiano: si tratta infatti di una traccia fondamentale di quella lingua volgare che andava formandosi, mentre S. Clemente risponde in latino (seppure non purissimo, ma già corrotto).
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Le prediche coatte-San Gregorio a ponte Quattro Capi
A partire dal 1584 furono istituite da papa Gregorio XIII, con la bolla Sancta Mater Ecclesia, le “prediche coatte” agli ebrei, con lo scopo di convertire il popolo giudaico alla fede cattolica. Gli ebrei romani, ogni sabato, venivano obbligati per legge ad ascoltare la predica di un sacerdote cattolico nella chiesa di San Gregorio a ponte Quattro Capi, come pure in quella vicina di Sant’Angelo in Pescheria.  I sermoni erano generalmente tenuti da un frate domenicano, cui gli abitanti romani del ghetto erano costretti ad assistere nella speranza che divampasse in loro un ardente desiderio di sposare il Vangelo. Gli ebrei invece ascoltavano imperturbabili le parole tonanti e gli anatemi contro il popolo "deicida" proferiti dal predicatore: infatti, si tappavano accuratamente le orecchie con della cera in modo da non sentire praticamente alcuna parola. Le prediche coatte furono abolite nel 1848 per volere di Papa Pio IX, unitamente all'apertura delle porte del ghetto che sarà abolito nel 1870. I racconti popolari sono comunque concordi nell’affermare che neanche un solo ebreo sia stato convertito da queste prediche.
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La Confraternita della Misericordia-San Giovanni Battista Decollato
La notte che precedeva un’esecuzione, i membri della confraternita di San Giovanni Decollato, vestiti di nero e incappucciati, si recavano nelle carceri di Tor di Nona e di Corte Savella per cercare di portare a termine la loro missione principale: ottenere la confessione e quindi la salvezza dell’anima del condannato. All’alba, ottenuto il pentimento del condannato, iniziava una lunga processione fino al luogo dell’esecuzione. Terminata l’esecuzione, il boia riconsegnava il cadavere alla confraternita che si occupava anche della sepoltura. Solo a chi, in punto di morte, aveva accettato il sacramento della confessione e si era pentito era concessa una sepoltura “cristiana” nelle fosse comuni della chiesa di San Giovanni Decollato. Diversamente, coloro che avevano rifiutato la confessione dovevano essere seppelliti al di fuori della città, nel terreno adiacente al Muro Torto, considerato un luogo sconsacrato. Vi erano poi dei casi estremi, di uomini ritenuti assolutamente indegni di giacere insieme agli altri, che erano quindi lasciati a decomporsi sulle rive del Tevere fuori dalla Porta del Popolo. Ai condannati a morte restava comunque una speranza, riposta ogni anno nel giorno del 29 agosto. Durante l’anniversario della decapitazione di San Giovanni Battista, i confratelli si riunivano per scegliere un singolo carcerato meritevole di riottenere la libertà. Questa votazione, espressa in urne contenenti fave nere o fave bianche rappresentava unica possibilità di salvezza dalla pena certa.
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Le chiese gemelle-Santa Maria dei Miracoli e Santa Maria in Montesanto
A prima vista, osservate dal centro di piazza del Popolo, la chiesa di Santa Maria dei Miracoli e quella di Santa Maria in Montesanto sembrano perfettamente uguali, sono infatti conosciute come le chiese “gemelle”, ma a guardarle bene non lo sono. Papa Alessandro VII desiderava creare un punto focale per attirare l’attenzione di chi passava sulla la piazza, e decise di far edificare due chiese simmetriche. L’architetto Rainaldi, costruttore di Santa Maria dei Miracoli, però, aveva meno spazio a disposizione per la chiesa e trovò un modo geniale per risolvere il problema. Dotò l’edificio di una cupola ottagonale (quella di Santa Maria in Montesanto è dodecagonale) e di una pianta circolare, mentre l’altra è ellittica.
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Una chiesa costruita su una tomba-Santa Maria del Popolo
Santa Maria del Popolo ebbe origine da una piccola cappella, fatta erigere dal Papa nel 1099, dopo la demolizione della tomba dove si riteneva fosse seppellito Nerone. Inseguito dai suoi nemici il tiranno si era fatto uccidere da uno schiavo proprio in questo luogo, che da quel giorno divenne maledetto. Intorno vi era un boschetto di pioppi, che si diceva infestato da spiriti maligni e dove, secondo il racconto popolare, per secoli si riunirono le streghe per adorare il demonio. Preoccupato dalle lamentele dei Romani spaventati, Papa Pasquale II decise di far interrompere le cerimonie pagane e dopo aver fatto esorcizzare la zona, vi fece costruire una cappella dedicata alla Vergine, primo nucleo di quella che poi, nel 1472, sarebbe diventata la basilica di Santa Maria del Popolo, il cui nome deriverebbe proprio da “pioppo”, in latino “populus”.
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Una chiesa dal nome curioso-Santo Stefano del Cacco
Una chiesa dal nome singolare è sicuramente quella di Santo Stefano del Cacco. Per scoprire l’origine della sua curiosa denominazione, bisogna tornare molto indietro nel tempo, addirittura all’epoca romana, quando, proprio sul luogo della chiesa, sorgeva il tempio dedicato alla divinità egizia Iside, meglio conosciuto come Iseo Campense. Per tutto il Medioevo e fino alla metà del Cinquecento, presso la chiesa era conservata una statua senza testa del dio egizio Thoth, raffigurato sotto l’aspetto di un babbuino, o macaco. Il popolo romano lo chiamava "cacco" e tale appellativo è rimasto alla chiesa anche dopo che la scultura, nel 1562, fu portata in Campidoglio, per passare, nel 1838, nella collezione egizia del Vaticano.
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Sergio Natalizia-Le chiese di Roma
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