Sette e Ottocento
San Biagio degli Armeni
Chiesa nazionale degli Armeni, ha origini medievali ed è soprattutto famosa per la festa del suo santo protettore, il 3 febbraio: è qui che, come da tradizione, si distribuiscono i "pani della benedizione" al popolo, ritenuti efficaci, secondo la tradizione, contro tante specie di mali.
Specifiche | Rettoria-Chiesa nazionale (Armenia)-luogo sussidiario di culto della parrocchia di S. Giovanni Battista dei Fiorentini |
Proprietà | Ospizio della Nazione Armena di S. Biagio della Pagnotta |
Affidamento | Clero di altra diocesi |
Accesso | LUN e MER 7:30 e SAB 18:30 |
Bibliografia | M. Armellini-Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX-1891; C. Rendina - Le Chiese di Roma-Newton Compton-2004; Roma Sacra – Itinerario 11- Elio De Rosa editore-1997; F. Gizzi- Le Chiese di Roma del Sette e Ottocento-Newton-1995 |
Indirizzo | Via Giulia, 64 – Rione Ponte |
Realizzazione | Eretta nell’XI secolo, fu ricostruita nel 1730 |
Stile architettonico | Rococo |
Architetto | Giovanni Antonio Perfetti (nd-nd) |
da non perdere | Reliquie di S. Biagio; affresco di Pietro da Cortona |
Storia
La chiesa ha origini antiche, che risalgono forse al X secolo, e un’iscrizione custodita al suo interno e datata 1072 ne ricorda la ricostruzione come chiesa di un piccolo monastero benedettino. Il suo nome allora era San Biagio Cantu Secuta e sembra riferirsi alla sponda del Tevere ove oggi corre via Giulia, e dove il fiume lasciava un ampio deposito di rena e limo.
Proprio a partire dall’XI secolo si era nel frattempo cominciato a diffondere in città il culto del santo cui la chiesa è ancora oggi dedicata: vescovo di Sebaste, nell’allora Armenia minore, Biagio sarebbe stato martirizzato nei primi anni del IV secolo e i suoi carnefici ne avrebbero straziato le carni con affilati pettini da cardatore prima di decapitarlo. Patrono di materassai e cardatori in virtù degli inconsueti strumenti del suo martirio, San Biagio è però soprattutto invocato come protettore delle malattie della gola: prima di morire, avrebbe infatti operato un ultimo miracolo, salvando un fanciullo che stava soffocando per una lisca di pesce che gli si era conficcata in gola. Fin dal XIV secolo è attestato però il soprannome con il quale la chiesa è più popolarmente nota a Roma: San Biagio della Pagnotta, dal pane che i monaci distribuivano ai poveri e che ancora oggi viene offerto ai fedeli in forma di piccole pagnotte benedette nel giorno della festa del santo, il 3 febbraio. Nella stessa occasione, viene esposto alla devozione un frammento della gola del martire, collocato accanto alla porta per permettere ai fedeli di baciarlo.
Restaurata da Alessandro II nel 1702, riedificata nel 1730 da Giovanni Antonio Perfetti e rinnovata all'interno nel 1832 da Filippo Navone, fu nel 1836 affidata da papa Gregorio XVI al clero armeno.
Esterno
La facciata, realizzata nel 1730, è di Giovanni Antonio Perfetti, e presenta quattro lesene che sorreggono una trabeazione che reca sul fregio l’iscrizione dedicatoria. L'ingresso presenta un portale barocco sovrastato dall’elemento principale della facciata, un affresco di San Biagio che compie il miracolo della lisca di pesce.
Interno
L’interno, rinnovato da Filippo Navone nel 1832, è a navata unica a cui si accede da un breve atrio cui è sovrapposta una cantoria. Il soffitto è decorato a basso rilievo in stucco, con un motivo a raggiera attorno alla colomba dello Spirito Santo.
L'abside semicircolare è ad un livello più alto della navata e vi si accede tramite gradini. La sistemazione dell’abside fu richiesta dalla Confraternita degli Armeni per adattare la zona absidale e l’altare in conformità del loro rito.
Sull’altare maggiore si trova il dipinto del XVIII secolo che raffigura il miracolo di S. Biagio in favore del bambino che rischiava di essere soffocato. Ai due lati si trovano due dipinti ottocenteschi con S. Biagio bambino (a destra) e S. Biagio sorretto da un Angelo (a sinistra)
All’interno, sono conservate le reliquie della gola di S. Biagio, un affresco di Angeli in atto di adorare il Sacramento di Pietro da Cortona, e un’immagine seicentesca della Madonna delle Grazie.
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