il Medioevo
San Giovanni a Porta Latina
La chiesa, secondo la tradizione, fu fondata da papa Gelasio I alla fine del V secolo, per ricordare il luogo in cui si cercò di martirizzare S. Giovanni Evangelista immergendolo in una caldaia di olio ma, uscitone illeso, venne relegato a Patmos: il miracolo è celebrato nella vicina cappella di San Giovanni in Oleo.
Specifiche | Basilica minore-Rettoria-luogo sussidiario di culto della parrocchia del Ss. Salvatore e dei Ss. Giovanni Battista ed Evangelista in Laterano |
Proprietà | Fondo Edifici di Culto |
Affidamento | Istituto di Carità (IC)-Rosminiani |
Accesso | 8:30-12:30 e 16:00-18:00 |
Bibliografia | M. Armellini-Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX-1891; C. Rendina - Le Chiese di Roma-Newton Compton-2004; Collegio Rosmini-S. Giovanni a Porta Latina-2015 sangiovanniaportalatina.it F. Gizzi-Le chiese medievali di Roma- Newton-1998 |
Indirizzo | Via di Porta Latina, 17 – Rione Celio |
Realizzazione | Edificata nel V secolo, fu ricostruita nell’VIII e restaurata nel XII secolo |
Stile architettonico | Paleocristiano e Romanico |
Architetto | Ignoto |
da non perdere | Ciclo di affreschi del XII secolo |
Storia
La basilica, sorta sui resti di un antico tempio dedicato al culto di Diana, è dal I secolo strettamente legata alla figura di S. Giovanni Evangelista che subì, nella vicina cappella di San Giovanni in Oleo, il martirio, con l’immersione in una caldaia di olio bollente. Uscitone illeso sarebbe stato poi esiliato a Patmos dove, sembra, morì centenario. Si narra che al fatto avesse assistito personalmente l’imperatore Domiziano e che la folla, terrorizzata dall’evento, chiedesse di risparmiare la vita al santo e di commutare la pena in esilio.
Restauri furono effettuati alla fine dell’VIII secolo durante il pontificato di Adriano I e nel 1144-1445, quando la chiesa divenne proprietà della Basilica Lateranense, l’edificio fu del tutto ricostruito a seguito dei danni riportati nel 1084 durante il saccheggio normanno di Roberto il Guiscardo. I lavori di ristrutturazione si dovettero concludere entro il 1191, anno in cui Celestino III traslò qui le reliquie dei santi Gordiano ed Epimaco e riconsacrò la chiesa.
A partire dalla metà del XVI e fino all'inizio del XVIII secolo, la chiesa è stata sottoposta a una serie di interventi che hanno provocato, tra l'altro, il danneggiamento dei dipinti murali medioevali; seguirono quindi vari periodi di decadenza fino a quando nel 1905, quando fu affidata alle monache dell'Ordine della Santissima Annunziata, vennero scoperti nel sottotetto sopra al presbiterio alcuni dipinti murali medioevali che diedero l'impulso, tra il 1913 e il 1915, per una complessiva opera di restauro. Nel 1937 la chiesa fu affidata ai Padri Rosminiani che, nel 1940-1941, procedettero a un ulteriore restauro teso al ripristino delle strutture medioevali e alla demolizione di tutte le aggiunte apportate tra il XVII e il XVIII secolo: fu in questa fase recuperato il portico, riaperte le tre finestre della facciata e dell'abside e restaurato il campanile; anche l'interno fu completamente liberato dalle aggiunte che contrastavano con lo stile artistico originario.
Esterno
Nel sagrato antistante la chiesa è posto un pozzo del IX secolo, fiancheggiato da due colonne con capitelli del IV secolo che reca incisa intorno all’imboccatura insieme alla formula battesimale la probabile firma dell'incisore, “EGO STEFANUS”, “Io Stefano”.
La facciata, aperta in alto da tre finestre centinate, è preceduta da un portico a cinque arcate, costituite da quattro colonne di marmo e granito, tre con capitelli ionici e uno dorico, che ospita resti romani e paleocristiani, oltre a frammenti di dipinti murali medievali.
Attraverso un portale sottostante si ha accesso all’interno della basilica; al lato sinistro del portico si eleva il campanile romanico del XII secolo, di forma quadrata a cinque ordini: il primo piano presenta una sola monofora tamponata, il secondo una bifora con archi poggianti su pilastro, mentre gli ultimi tre trifore su colonnine e capitelli. La cella campanaria conserva una campana del 1723.
Interno
La chiesa, a pianta basilicale, è divisa in tre navate da due file di cinque colonne di spoglio in marmi diversi, sulle quali poggiano archi a tutto sesto. Le due colonne prossime al presbiterio sono di pavonazzetto con profonde scanalature; la terza coppia di cipollino e le altre di granito grigio e rosso, tutte sormontate da capitelli ionici. Le pareti della navata centrale sono aperte da una fila di monofore, riaperte dopo il ritrovamento dei dipinti murali e la demolizione delle strutture e delle decorazioni barocche. La navata centrale, come le laterali, sono coperte da un tetto a capriate lignee moderno; anche il pavimento è moderno, mentre quello della chiesa del XII secolo si trova a 48 cm sotto l'attuale piano di calpestio.
Le navate laterali terminano con due ambienti rettangolari, in cui sono state ricavate le absidi che comunicano con il presbiterio mediante arcate. La navata centrale termina con un'abside, semicircolare all'interno e semiesagonale all'esterno, aperto da tre grandi finestre che diffondono nella chiesa una particolare luce dorata.
La navata centrale e la controfacciata sono decorate da un ciclo di dipinti murali ad affresco, che ha inizio sulla parete destra e si svolge anularmente, databile alla fine del XII secolo, opera di alcuni pittori di ambito romano: questo ciclo di affreschi è stato, rinvenuto soltanto a seguito dei restauri del 1940-1941, raffigura 46 differenti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento. Insieme con le decorazioni dell’aula gotica del Complesso dei Santi Quattro Coronati, questi affreschi rappresentano uno degli esempi più interessanti di pittura medievale a Roma, in un periodo antecedente alla scuola di Pietro Cavallini e in genere alla scuola romana della fine del XIII secolo.
Il presbiterio è rialzato rispetto alla navata; nei pressi dell’altare centrale, è una parte del pavimento in opus sectile a marmi policromi, ricostruito in epoca moderna con impostazione identica alla medioevale. L'altare moderno utilizza come paliotto un frammento di pluteo preromanico con un arbusto centrale da cui si dipartono tralci che formano una serie di volute (IX secolo); esso è analogo a un
altro frammento usato sul fronte del leggio di pietra, dove è stata sistemata anche la lastra con l'iscrizione del 1191. Nella predella dell'altare è inserita una epigrafe che riportare l'antico "titolo" della chiesa: “TIT. S. IOANNIS ANTE PORIAM LA”.
Il presbiterio è decorato da affreschi raffiguranti alle pareti laterali, Ventiquattro vegliardi dell'Apocalisse (XII secolo); nell'arco trionfale, Simboli dei quattro evangelisti e nel catino absidale (XII secolo), S. Giovanni apostolo trascinato in giudizio dinanzi all'imperatore Domiziano (XVIII secolo), affresco di Antonio Rapreti: questa opera, di cui si era persa la memoria, è stata riportata alla luce nel 2007. Gli absidi laterali sono stati decorati negli anni cinquanta del Novecento.
GALLERY