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Il pellegrinaggio al Divino Amore
Il santuario del Divino Amore, sulla via Ardeatina, nella zona di Castel di Leva, è oggetto di grande devozione popolare, ma la sua storia non è legata ad una apparizione della Madonna, ma ad una immagine della Vergine con in braccio Gesù Bambino, sovrastati entrambi dalla colomba simbolo dello Spirito Santo (di qui il titolo di Madonna del Divino Amore). Il dipinto, opera di un autore della scuola romana di Pietro Cavallini (XIV secolo), era posto su una delle torri di cinta di un antico castello andato distrutto da un terremoto.
Nella primavera del 1740, un viandante, probabilmente un pellegrino diretto a San Pietro, si smarrì nelle vicinanze della torre e venne assalito da un branco di cani rabbiosi.
Vistosi senza scampo e terrorizzato, il pellegrino volge lo sguardo all’immagine sacra della torre e chiede alla Madonna la grazia di essere salvato. Le bestie, che ormai gli sono addosso, di colpo si fermano per poi allontanarsi, come se avessero obbedito ad un ordine misterioso.
Subito dopo incontra dei pastori che sono nei pressi e racconta loro l’accaduto; la stessa cosa fa con tutti coloro che incontra lungo la strada per Roma.
La notizia del miracolo si diffuse rapidamente e iniziarono numerosi i flussi di pellegrini che chiedevano e ricevevano numerose grazie.
L’eco di quanto era accaduto e, soprattutto, il concorso di pellegrini, furono tanto vasti da spingere ben presto la gerarchia ecclesiastica a trovare una adeguata sistemazione all’immagine della Madonna con il Bambino. L’immagine fu staccata dall’antica torre e trasportata nella chiesetta di Santa Maria ad Magos, a due chilometri da Castel di Leva, in località Falcognana.
Poi, nel marzo 1743 si decise di edificare una nuova chiesa affidando i lavori all’architetto Filippo Raguzzini. In poco meno di un anno la nuova chiesa, edificata sul luogo del miracolo, era pronta per ospitare l’immagine della Madonna. Il 19 aprile, lunedì di Pasqua 1745, si procedette al trasferimento. Le cronache del tempo annotano una gigantesca folla di romani e di abitanti dei Castelli, con tanto di gonfaloni e di confraternite, che fece da corona al carro che trasportò la prodigiosa effigie dalla chiesetta di Santa Maria ad Magos al santuario appena eretto. Per l’occasione papa Benedetto XIV concesse ai partecipanti l’indulgenza plenaria, che potevano lucrare anche coloro che avessero visitato l’immagine in uno dei sette giorni seguenti quello del trasferimento.
Il santuario divenne rapidamente il centro di una fervente pietà popolare e quindi meta di pellegrinaggi che iniziavano il lunedì di Pentecoste e duravano fino all'autunno, ma al fenomeno di autentica devozione popolare, ad un certo punto, se ne sovrappose un altro: i pellegrinaggi finivano spesso per identificarsi con la gita “fuori porta” tipica delle Ottobrate romane: una commistione di sacro e profano che come descrisse Giggi Zanazzo ne “Le 'minente ar Divin'Amore”, diveniva anche meta di partecipatissime ed allegre scampagnate nel corso delle quali uomini, ma soprattutto donne, le cosiddette madonnare, raggiungevano il luogo a piedi o in carrozza recitando litanie e cantilenando ripetutamente: "Viva, viva, sempre viva / la Madonna del Divino Amore / fa la grazia a tutte le ore / noi l'andiamo a visitar".
A volte accadeva infatti che l'aspetto religioso della festa era spesso un "pretesto" per rompere la quotidianità con una divertente scampagnata tanto che nacque la voce che il nome Divino Amore assegnato dal popolo al luogo, non sia derivato dalla figura della Madonna col Bambino, ma dall'inversione delle parole “Amore di vino” che finirono per ispirare i pellegrinaggi un po' gaudenti. «Arrivati llà», annotava sempre Giggi Zanazzo nel 1890, «sse sentiva prima di tutto la messa; e ddopo èssese goduti tutti li gran miracoli che allora faceva la Madonna, come stòppi che buttaveno le stampelle, cèchi che cce vedevano in sur subbito, ragazze indemoniate che vvommitaveno er demonio, donne affatturate che vvommitaveno trecce de capelli, et eccetra, s'annava in de le bbaracche a ffà ccolazione, e ddopo èssese infiorate bbene bbene la testa, er petto, li capelli, le testiere de li cavalli, co' li tremolanti e le rose, se partiva per Arbano. Llì se pranzava, se bbeveva a ggarganella da pe' tutte le bettole indove c' era er vino bbono, e ppoi, cantanno li ritornelli, se faceva a chi ppiù ccureva pe' ritornà a Roma».
Con l’inizio del Novecento la venerazione del santuario conobbe una progressiva decadenza fino ad essere quasi abbandonato. Nel 1930, il santuario passò alla dipendenza del Vicariato, e nel 1931 un giovane sacerdote, Umberto Terenzi, dopo essere sopravvissuto ad un pauroso incidente stradale proprio in quel luogo, ne divenne il rettore e lo fece rifiorire, divenendo il promotore della devozione alla Madonna del Divino Amore.
La devozione dei romani alla Madonna del Divino Amore è anche storicamente legata agli avvenimenti della Seconda guerra mondiale.
Nel corso del 1943, la zona del santuario era stata bombardata e si temette per l'incolumità dell’immagine sacra, l'icona della Madonna fu portata a Roma il 24 gennaio 1944 dapprima nella chiesetta della Madonna del Divino Amore, poi in maggio, dato l'enorme afflusso di fedeli, trasferita in San Lorenzo in Lucina.
Papa Pio XII, vista l'imminenza della battaglia per la conquista di Roma tra i nazisti e gli alleati, invitò i romani a pregare per la salvezza della città durante l'ottavario della Pentecoste e la novena della Madonna del Divino Amore, e fu fatto voto con la promessa della costruzione di un nuovo e più grande santuario. L'affluenza a San Lorenzo in Lucina in quei giorni aumentò così tanto si dovette trasferire l'immagine della Madonna nella più ampia Sant'Ignazio di Loyola a Campo Marzio. Il 4 giugno, lo stesso giorno in cui terminava l'ottavario, si decise la sorte di Roma: in quel giorno si verificò la ritirata delle armate tedesche e la liberazione di Roma da parte delle truppe alleate.
L'11 giugno, come per oltre quattro mesi avevano fatto migliaia di romani, papa Pio XII si recò nella chiesa di Sant'Ignazio e celebrare una messa di ringraziamento alla Madonna del Divino Amore cui venne dato il titolo di Salvatrice dell'Urbe. Durante l'omelia il pontefice disse:
«Noi oggi siamo qui non solo per chiederLe i suoi celesti favori, ma innanzitutto per ringraziarLa di ciò che è accaduto, contro le umane previsioni, nel supremo interesse della Città eterna e dei suoi abitanti. La nostra Madre Immacolata ancora una volta ha salvato Roma da gravissimi imminenti pericoli; Ella ha ispirato, a chi ne aveva in mano la sorte, particolari sensi di riverenza e di moderazione; onde, nel mutare degli eventi, e pur in mezzo all'immane conflitto, siamo stati testimoni di una incolumità, che ci deve riempire l'animo di tenera gratitudine verso Dio e la sua purissima Madre.»
Finita la guerra, sotto l'impulso di don Umberto Terenzi, il santuario a Castel di Leva rinasce: la costruzione di un nuovo santuario per assolvere al voto fatto alla fine della guerra per la salvezza della città incontrò infinite difficoltà burocratiche e difficoltà logistiche che impedirono sempre di realizzare quest'opera. Si dovrà aspettare il gennaio 1996 per la posa della prima pietra di quello che, per il Giubileo del 2000, è diventato il nuovo santuario. Il nuovo santuario, progettato da Padre Costantino Ruggeri è stato realizzato ai piedi della collina, fuori dalle antiche mura, senza violare il paesaggio della campagna romana e il complesso monumentale settecentesco.
L'autentica devozione per il santuario è durata fino ai nostri giorni e si svolgono ancora i pellegrinaggi in gruppo organizzati a piedi, di notte. L’appuntamento, ogni sabato sera dal primo dopo Pasqua all'ultimo di ottobre, è a piazza di Porta Capena, nei pressi delle Terme di Caracalla. Dopo la mezzanotte, i pellegrini percorrono la Via Appia Antica fino alla chiesa del Quo Vadis, quindi la Via Ardeatina, con tappa alle Catacombe di San Callisto e davanti al Mausoleo delle Fosse Ardeatine in un itinerario di fede e di memoria che si conclude, dopo aver percorso circa 15 km quando è ormai l’alba, al santuario di Castel di Leva dove viene celebrata la messa del pellegrino.